Non so se, nel corso delle vostre passeggiate, avete notato uno stagno lungo e stretto accanto al fiume. Deve essere stato scavato dai pescatori e non è collegato al fiume. Mentre quest’ultimo scorre incessantemente, largo e profondo, lo stagno è torbido, perché non è collegato alla vita del fiume e non contiene pesci. Le sue acque sono ferme, mentre il fiume, che scorre rapido, lì accanto, è pieno di vita e di movimento.
Non pensate che gli esseri umani siano anch’essi così? Si scavano una piccola pozza separata dalla corrente rapida della vita e in quella piccola pozza ristagnano e muoiono; ma, è proprio quella stagnazione, quel declino, che chiamiamo esistenza. In altri termini, noi tutti desideriamo uno stato di permanenza; vogliamo che certi desideri durino per sempre, vogliamo che i piaceri non abbiano mai fine. Scaviamo una piccola tana e ci barrichiamo dentro con le nostre famiglie, ambizioni, culture, paure, divinità, forme di culto, e lì moriamo, lasciando che la vita ci scorra accanto – quella vita che è impermanente, in perenne mutamento, che è così rapida, ha insondabili profondità, un’eccezionale vitalità e bellezza.
Avete notato che, se sedete in silenzio sulla riva del fiume, ne udite il canto – lo sciabordio dell’acqua, il rumore della corrente? C’è sempre un senso di movimento, uno straordinario movimento verso ciò che è più ampio e più profondo.
Ma, nella piccola pozza non c’è alcun movimento, la sua acqua è stagnante. E se osservate, vedrete che è questo che la maggior parte di noi desidera: piccole pozze stagnanti di esistenza lontano dalla vita. Affermiamo che questa nostra esistenza stagnante è giusta e abbiamo inventato una filosofia per giustificarla; abbiamo sviluppato teorie sociali, politiche, economiche e religiose in suo sostegno e non vogliamo essere disturbati perché, in definitiva, siamo alla ricerca di un senso di permanenza.
Sapete cosa significa ricercare la permanenza? Significa volere che le cose piacevoli durino indefinitamente e che quelle spiacevoli cessino al più presto. Vogliamo che il nome che portiamo sia conosciuto e tramandato attraverso la famiglia e la proprietà. Vogliamo un senso di permanenza nei rapporti, nelle attività, il che vuol dire che cerchiamo una vita durevole e continua nella nostra pozza stagnante; non desideriamo alcun vero cambiamento, così abbiamo edificato una società che ci garantisce la permanenza di proprietà, nome e fama.
Ma, vedete, la vita non è affatto così; la vita non è permanente Come le foglie che cadono da un albero, tutte le cose sono impermanenti, niente dura; il cambiamento e la morte sono inevitabili. Avete mai notato quanto è bello un albero spoglio che si staglia contro il cielo? Tutti i rami sono perfettamente delineati, e nella sua nudità c’è una poesia, un canto. Tutte le foglie sono cadute ed esso attende la primavera. Quando questa arriva, riempie nuovamente l’albero della musica di molte foglie, che a tempo debito cadono e vengono spazzate via dal vento; e questo è il cammino della vita.
Ma, noi, non vogliamo niente del genere. Ci aggrappiamo ai nostri figli, alle tradizioni, alla società, al nome che portiamo, alle nostre piccole virtù, perché desideriamo la permanenza; ecco perché abbiamo paura di morire. Abbiamo paura di perdere le cose che conosciamo. Ma, la vita non è quella che vorremmo; la vita non è affatto permanente. Gli uccelli muoiono, la neve si scioglie, gli alberi vengono tagliati o abbattuti dalle tempeste, e così via.
Noi, però, vogliamo che tutto ciò che ci dà soddisfazione sia permanente; vogliamo che la nostra posizione sociale e l’autorità che abbiamo sulle persone durino. Ci rifiutiamo di accettare la vita così com’è veramente.
Il fatto è che la vita è come un fiume: procede incessantemente, sempre intenta a cercare, esplorare, spingere, traboccare, penetrare ogni fessura con la propria acqua. Ma, vedete, la mente non consentirà che le accada questo. La mente capisce che è pericoloso vivere in uno stato di impermanenza, di insicurezza, e così si costruisce un muro attorno: il muro della tradizione, della religione organizzata, delle teorie politiche e sociali. La famiglia, il nome, la proprietà, le piccole virtù che abbiamo coltivato – sono tutti racchiusi dentro le mura, lontano dalla vita.
La vita è mobile, impermanente, e cerca incessantemente di infiltrare, di abbattere queste mura, dietro le quali c’è confusione e infelicità. Gli dei all’interno delle mura sono tutti falsi dei, e i loro scritti e le loro filosofie non hanno alcun significato, poiché la vita è al di là di essi.
Una mente che non abbia mura, che non sia gravata dal peso delle proprie acquisizioni, delle cose accumulate, della conoscenza, una mente che viva senza tempo, senza sicurezza – per una mente simile, la vita è una cosa straordinaria. Una mente così è la vita stessa, perché la vita non conosce rifugio. Ma la maggior parte di noi desidera un rifugio: una casetta, un nome, una posizione, tutte cose che affermiamo essere molto importanti. Chiediamo permanenza e creiamo una cultura fondata su tale bisogno, inventando dei che non sono affatto dei, ma semplici proiezioni dei nostri stessi desideri.
Una mente che ricerchi la permanenza è presto destinata a ristagnare; rapidamente si riempie di corruzione e di decadenza, proprio come lo stagno lungo il fiume. Solo la mente che non ha mura, né punti fermi, né barriere o rifugi, che si muove all’unisono con la vita, spingendosi sempre avanti, incurante del tempo, esplorando, esplodendo – solo una mente simile può essere felice, eternamente nuova, poiché è intrinsecamente creativa.
Capite di cosa sto parlando? Dovreste capire, perché tutto ciò fa parte di una vera educazione: se ne afferrate il significato, l’intera vostra vita sarà trasformata, e il vostro rapporto con il mondo, con il prossimo, con vostro marito o vostra moglie, assumeranno un significato totalmente differente. Allora non cercherete più di realizzarvi attraverso qualcosa, rendendovi conto che la ricerca dell’autorealizzazione porta solo dolore e infelicità. Ecco perché dovreste chiedere tutto questo ai vostri insegnanti e discuterne fra di voi. Se lo comprendete, avrete cominciato a comprendere la straordinaria verità di ciò che è la vita, e in quella comprensione c’è grande bellezza e amore, il fiorire della bontà. Ma gli sforzi di una mente che ricerca una pozza di sicurezza, di permanenza, possono solo portare all’oscurità e alla corruzione. Una volta installatasi nella pozza, una mente simile ha paura di avventurarsi fuori, di cercare, di esplorare; ma la verità, Dio, la realtà o quel che preferite, si trovano oltre la pozza.
Sapete che cos’è la religione? Non è nelle preghiere salmodiate, né nel compimento di un rito, né nell’adorazione di dei di latta, o immagini di pietra, non è nei templi e nelle chiese, né nella lettura della Bibbia, o della Bhagavadgita, non consiste nel ripetere un nome sacro, o nel seguire qualche altra superstizione inventata dagli uomini. Nulla di tutto ciò è religione.
La religione è il sentimento di bontà, quell’amore che è simile a un fiume, vivo, eternamente in movimento. In quello stato scoprirete che arriva un momento in cui ogni ricerca cessa del tutto; e la fine della ricerca è l’inizio di qualcosa di totalmente differente. La ricerca di Dio, della verità, il sentirsi completamente buoni – non il coltivare la bontà e l’umiltà, ma il cercare qualcosa al di là delle invenzioni e dei trucchi della mente, il che significa sentire quel qualcosa, vivere in esso, esserlo – quella è la vera religione.
Ma ciò è possibile solo se lasciate la pozza che vi siete scavati e vi gettate nel fiume della vita. Allora la vita vi stupirà prendendosi cura di voi,poiché voi non ve ne prenderete più cura. La vita vi porterà dove vorrà, poiché ne siete parte; non vi sarà alcun problema di sicurezza, di ciò che la ente dice o non dice: e questa è la bellezza della vita.
Tratto da Jiddu Krishnamurti. – LA RICERCA DELLA FELICITA’
Traduzione di VINCENZO VERGIANI
Fonte: https://www.pomodorozen.com/zen/la-ricerca-della-felicita-krishnamurti/
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