Che cosa accade, dal punto di vista psicologico e umano, e specialmente nelle relazioni interpersonali, quando l’anima compie uno di quei rari e preziosi salti evolutivi, che le consentono di passare ad un livello superiore di esistenza?
Abbiamo detto «rari», perché non accade di frequente che un’anima riesca a compiere un’impresa del genere: al contrario, ve ne sono che rimangono ferme per tutto il proprio ciclo di vita; ed altre le quali, addirittura, regrediscono, scendendo su un livello più basso.
Ma che cosa accade quando essa riesce a salire ad una dimensione superiore, innalzandosi al di sopra di se stessa e creandosi, per così dire, un nuovo cielo al di sopra del suo cielo, un nuovo orizzonte al di là del suo orizzonte, scorgendo cose che prima non vedeva, udendo voci che prima non udiva, e assaporando profumi che prima non coglieva?
Una immagine convenzionale ed ingenua del salto evolutivo pretenderebbe che i suoi frutti immediati siano, insieme alla chiarificazione interiore, anche un evidente miglioramento delle relazioni umane, un approfondimento e un aumento di benessere rispetto ai sentimenti e alle emozioni, insomma un generale progresso qualitativo. Invece non è affatto così, almeno in una prima fase e la ragione dovrebbe essere facilmente intuibile.
Ciascuno di noi, anche l’individuo più isolato ed ombroso, vive in un mondo di relazioni: professionali, umane, affettive; tutta una rete che si è costruita attraverso il tempo, giorno dopo giorno, e che riflette il livello raggiunto complessivamente dalla nostra anima. Infatti, il tipo di relazioni che abbiamo costruito nel tempo – sia quelle pienamente volontarie, come possono esserlo quelle di amicizia, sia quelle che non dipendono da noi, almeno in apparenza (poi diremo perché), come quelle di lavoro – altro non sono che la testimonianza del livello spirituale sul quale la nostra anima ha saputo attestarsi.
Per fare un esempio banale, un’anima malvagia, indurita nel commettere il male, tenderà ad associarsi con individui del suo stesso genere, a frequentare quel certo tipo di ambienti, eccetera, secondo il vecchio adagio: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». Infatti, se noi non sapessimo null’altro di una determinata persona, ma avessimo la possibilità di conoscere le persone con le quali ha costruito la propria rete di relazioni, e udissimo come esse parlano di lei (la moglie o il marito; i figli; i genitori; gli amici; i colleghi), saremmo nondimeno in grado di farci un’idea abbastanza precisa del livello spirituale che la contraddistingue.
Le relazioni involontarie non fanno eccezione a questa regola, perché, se è vero che non dipendono direttamente da noi (e questo vale non solo per i colleghi di lavoro o per i vicini di casa, ma anche per i nostri parenti, compresi quelli più stretti), è pur vero che il nostro orientamento spirituale complessivo ci ha indirizzati verso un determinato ambiente, anziché un altro.
Per esempio, se abbiamo scelto di dedicare la nostra vita all’arte, ci troveremo a frequentare soprattutto degli artisti: ossia delle persone che, al di là delle ovvie differenze individuali, condividono con noi un certo sistema di valori e un certo orizzonte di senso; per cui la nostra vicinanza con essi non può considerarsi interamente frutto del caso. E perfino per quanto riguarda i nostri genitori, si dice che l’anima, prima di incarnarsi in un corpo, abbia fatto la sua scelta, e che, pertanto, l’identità non sia affatto il risultato di circostanze casuali, ma esprima pienamente le tendenze originarie e profonde del nostro essere.
Dunque, dicevamo che sarebbe ingenuo e semplicistico immaginare che il primo effetto di un salto evolutivo, da parte dell’anima che lo ha effettuato, sia quello di un automatico miglioramento qualitativo delle relazioni interpersonali. Per certi aspetti, è vero l’esatto contrario: subentra una fase di distonia, di disagio, di difficoltà, che è proprio la conseguenza inevitabile, e insieme il segno tangibile, del salto compiuto.
Per fare una similitudine, si potrebbe paragonare l’anima che ha realizzato il salto evolutivo ad un marinaio il quale, unico fra i suoi compaesani, abbia oltrepassato di molto i mari conosciuti; e, là dove gli altri si limitavano a gettare le proprie reti in vicinanza della costa, egli abbia drizzato audacemente la prua della sua nave verso l’oceano aperto, e abbia visto mari e terre inesplorati, uomini e animali sconosciuti; e che sia tornato a casa, infine, arricchito di un tale bagaglio di nuove esperienze, da non essere quasi creduto dagli altri.
Ebbene: la prima sensazione di quel marinaio, una volta gettata l’ancora in porto e ripresa la vita di prima, sarà quella dell’angustia, del restringimento, quasi del soffocamento. Proverà una ardente nostalgia per quei mari lontani, per quegli orizzonti sconfinati; e, contemporaneamente, un senso di estraneità rispetto a coloro i quali sono sempre rimasti al paese e che mettono ora in dubbio i suoi racconti o mostrano insofferenza, gelosia, incomprensione per la sua avventura, rimproverandogli, più o meno esplicitamente, di non essere più come tutti loro, di non sapersi riadattare alla situazione ordinaria, all’antico sistema di vita.
Sua moglie, al confronto delle donne affascinanti di quelle terre lontane, gli apparirà insignificante; ristretti gli orizzonti mentali dei vicini; banali e un po’ ridicoli gli interessi e le aspirazioni dei vecchi amici d’un tempo. Tutti costoro, d’altro canto, non mancheranno di fargli pesare la sua difficoltà di rimettere i piedi a terra, di tornare ad essere uno di loro; scambieranno per superbia il suo nuovo atteggiamento, attribuiranno a presunzione il suo diverso modo di guardarli, di parlare con loro, perfino i suoi gesti quotidiani, nei quali ravviseranno un non so che di strano e incomprensibile, come se egli fosse diventato un alieno.
Nessuno comprenderà la malinconia di quel marinaio, che si sente ancora negli orecchi il rumoreggiare delle grandi onde oceaniche, e che avrà ancora nello sguardo un riverbero di quei tramonti e di quelle albe incandescenti, laggiù, oltre l’estremo orizzonte conosciuto; nessuno sarà disposto ad ammettere che, una volta assaggiato quel nuovo cibo spirituale, egli non potrebbe mai più, se non tradendo se stesso, ritornare alle prospettive anguste e ai grigi orizzonti della vita di prima, come se nulla fosse stato.
Questa similitudine, peraltro, può rendere solo molto imperfettamente la situazione, psicologica ed esistenziale, che ci stiamo sforzando di descrivere. Di fatto, l’anima che ha compiuto un salto evolutivo ha conquistato qualcosa di nuovo, che non è la semplice nostalgia, ma il possesso di una realtà superiore, ossia un bene concreto e operante, non certo uno sterile rimpianto di qualche cosa fugacemente intravista. Secondo il mito platonico della biga alata, l’anima riesce a intravedere qualche squarcio fugace dell’Iperuranio, prima di ricadere sulla terra; ma il salto evolutivo nei regni superiori dello spirito, è un’altra cosa.
Certo, le ricadute sono sempre possibili; ma, di norma, saranno cadute temporanee e parziali: perché l’anima che sia riuscita, anche solo per una volta, a portarsi al di sopra del livello ordinario di esistenza, ha conquistato un bene che non potrà più esserle tolto. Pertanto, tutti gli ostacoli e le difficoltà che essa dovrà ancora affrontare, nel corso della propria vita terrena, per quanto duri e difficili, non saranno più in grado di riportarla definitivamente giù, da dove si era innalzata. Vedere la luce per una volta, significa conservarne la divina scintilla per sempre.
Questa considerazione ci aiuta a comprendere in che modo l’anima, spiritualmente progredita, riuscirà ad affrontare e a superare il disagio per lo sfasamento venutosi a creare rispetto ai propri compagni di viaggio – parenti, amici, colleghi di lavoro – i quali, invece, sono rimasti fermi sul livello ordinario di esistenza. L’anima spiritualmente evoluta – e non importa se si trova ancora ad un livello relativamente basso delle dimensioni superiori: perché entrare in quelle regioni, vuol già dire innalzarsi di molto sul livello ordinario – non solo riesce a percepire la realtà con un’ampiezza e una profondità infinitamente maggiori; non solo riesce a vedere, o almeno a intuire, la connessione profonda che lega tra loro tutte le cose – quelle vicine e quelle lontane, quelle materiali e quelle spirituali, quelle visibili e quelle invisibili – ma trova in sé anche gli strumenti per gestire questo potenziamento delle proprie facoltà e venire incontro alle anime che, invece, non hanno compiuto il medesimo superamento di se stesse.
La legge numero uno del salto evolutivo, infatti, è proprio questa: comprendere che, per trovare ogni cosa, bisogna essere prima disposti a rinunciare a tutto, ovvero, in altre parole, che solo l’acquisizione della pratica del non attaccamento porta i frutti della liberazione. Quindi, un’anima evoluta è un’anima non più legata alla catena dolorosa dell’attaccamento: non desidera più ciecamente; non ama in maniera egoistica; non odia nessuno; non invidia nessuno, se non chi le è spiritualmente superiore.
Di conseguenza, se è vero che la prima sensazione dell’anima che abbia compiuto il salto evolutivo, nei confronti delle vecchie cose e abitudini, è quella di sentirsi chiusa in una prigione, legata a persone e a situazioni che non riguardano più la sua essenza profonda, nondimeno, in una seconda fase, il suo stesso perfezionamento le suggerirà modi e strumenti per ricucire, nei limiti del possibile, lo «strappo» venutosi a creare con gli altri.
Anche in questo caso, possiamo tentare di illustrare la situazione per mezzo di una similitudine. Nel livello di esistenza ordinario, esistono le simpatie e le antipatie, le amicizie e le inimicizie, gli amori e gli odi, le attrazioni e le repulsioni; di conseguenza, gli esseri umani si relazionano con se stessi e fra di loro (oltre che con gli altri viventi, e perfino con le proprie divinità) sulla base di tali sentimenti primari e di tali motivazioni psicologiche.
Nei livelli di esistenza superiori, l’anima non conosce più queste polarità e queste tensioni e contraddizioni: non vuole più null’altro che quello che vuole la grande legge universale, ossia un amore pieno, incondizionato e disinteressato, una benevolenza, una compassione, che si estendono a tutti, in ogni direzione. Di conseguenza, una persona che abbia realizzato il salto evolutivo, non amerà più in maniera egoistica e non odierà più nessuno; non proverà invidia, malevolenza, rabbia e frustrazione; non avrà più desideri illimitati, brame insaziabili, paure incontrollate: avrà raggiunto, in una certa misura, l’armonia con il Tutto.
Ebbene, mettiamoci ora dal punto di vista di quanti sono in relazione con quella persona, ma che non hanno compiuto, a loro volta, il superamento di se stesse, e che, pertanto, sono rimaste ferme allo stato di esistenza ordinario. Prendiamo il caso di una moglie gelosa, di un amico superficiale, di un collega invidioso. Ciascuno di essi, conserverà i medesimi atteggiamenti di prima nei suoi confronti; ma sarà la persona dall’anima evoluta ad essere profondamente cambiata, al punto che sarebbe più esatto dire che ciò che gli altri vedono di lei, non è la sua realtà attuale, ma la sua realtà passata: pertanto, essi credono di interagire con qualcosa di reale, mentre ciò che hanno davanti è un’immagine illusoria, un autentico fantasma.
Che cosa succederà a quel punto? La moglie gelosa non capirà che la gelosia, come è intesa al livello ordinario dell’esistenza, non ha più ragione di essere; l’amico superficiale non si renderà conto che i suoi pensieri, parole ed azioni, non toccano più il vecchio compagno del tempo libero; e il collega invidioso continuerà a insinuare, calunniare, tramare contro di lui, ma si troverà fra le mani delle armi spuntate, perché nulla di quanto egli potrà dire o fare, per quanto malevolo, riuscirà a penetrare in profondità.
Non vogliamo dire, con questo, che l’anima spiritualmente evoluta sia quella di un superuomo, che nulla e nessuno siano più in grado di turbare. Davanti alla morte di Lazzaro, caro amico di Gesù Cristo, perfino Lui scoppiò a piangere. Ciò significa che l’anima evoluta sente anch’essa, e con forza, le passioni; ma è anche certo che possiede gli strumenti per elaborarle in maniera diversa e per trionfare sugli aspetti distruttivi di esse, a cominciare dal dolore.
Ecco, allora, che la prigione comincerà ad illuminarsi, le pareti a sciogliersi, le catene cadranno a terra, infrante. L’anima evoluta è ora avviata sul sentiero della liberazione, e non vi sono tenebre in esso; e anche se il terreno può essere cosparso di rovi spinosi, l’anima evoluta non ha più paura di graffiarsi: procederà fiduciosa per la sua strada, guardando sempre avanti.
Per l’anima evoluta, non vi sono più catene né prigioni, ma liberi orizzonti sconfinati e un grande, ineffabile senso di pace e di armonia con tutte le cose.
Articolo di di Francesco Lamendola
Fonte: https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=27340