Essere resilienti non è resistere a tutti i costi ma sapersi piegare al dolore quando necessario per poi rialzarsi. Nessun trauma è positivo ma è possibile riemergere cambiati. La psicologa ci spiega come e ci fornisce 8 consigli pratici.
Abbiamo tutti un kit di resilienza dentro di noi, per quanto resti difficile pensarlo. Anche se non sempre all’occorrenza è pronto. A volte c’è bisogno di tempo per recuperarlo, occorre lavorarci, organizzarlo in tempi sereni. È un percorso che porta a un insieme di risorse personali e sociali, di comportamenti e pensieri che hanno carattere personale, perché ognuno individua le proprie strategie per fronteggiare le avversità. Per poi “ricentrarsi”, ri-focalizzando le energie su nuovi percorsi, obiettivi, intenti. La capacità di recupero in questo senso è ordinaria, non straordinaria. Ce lo dice la ricerca. Non vuol dire non provare dolore, difficoltà, smarrimento di fronte a traumi, tragedie, minacce o perdite. E nemmeno sentirsi invincibili. Essere resilienti non è resistere a tutti i costi ma sapersi piegare al dolore quando necessario per poi rialzarsi. Come le costruzioni che affrontano un terremoto: quelle più “elastiche” reggono meglio le scosse, le rigide invece crollano.
In realtà non siamo mai pronti alle avversità ma predisposti ad un processo di elaborazione e adattamento per “rimbalzare” da esperienze difficili e dolorose. Coloro che sopravvivono alle tragedie non sono supereroi, lottano con le stesse domande che ci facciamo tutti. Nessun trauma è positivo, non c’è niente di intrinsecamente “buono” nei disastri, nelle violenze, nella malattia. Ma è possibile riemergere cambiati. Siamo tutti dei sopravvissuti in questo senso. Abbiamo affrontato le difficoltà, anche se non tutto è superato e qualcosa pesa ancora sul cuore.
In parte siamo però riusciti ad attivare la nostra “protezione civile” psicologica, mobilitando le risorse interiori per sopravvivere e, forse, guarire le ferite. Ognuno con i propri tempi e modi, con più o meno fatica. Gli studi sulla resilienza evidenziano differenze nel modo di reagire e superare i traumi sulla base di aspetti neurobiologici, psicologici e genetici. Una variabilità che si riflette nel modo di vivere le soglie dello stress: ciò che promuove resilienza in una persona può provocare maggiore vulnerabilità in un’altra. Il nostro passato ci fa però scoprire qualcosa di noi, come abbiamo reagito, cosa ci ha aiutato, quali eventi ci hanno colpito. E non ci marchia per sempre. Possiamo sempre tirare fuori o promuovere il nostro potenziale di resilienza. Le neuroscienzedicono che lo attiviamo attraverso l’esperienza e le difficoltà, in particolare tramite lo sviluppo di quelle risorse che facilitano il saper far fronte, l’adattamento e il recupero dallo stress.
Un kit di resilienza efficace è composto da una serie di tratti emotivi sui quali in effetti è possibile lavorare:
1) La flessibilità è una parte importante della resilienza. Essere “morbidi”, aspettarsi che gli altri e la vita non siano conformi alle nostre aspettative, prendere le cose per come sono, accettare ambiguità e incertezza ci rendono meno vulnerabili. La tolleranza alla frustrazione è legata inoltre alla flessibilità cognitiva e alla soluzione dei problemi. È necessario fare stretching mentale, allungarsi nelle possibilità, rendersi pronti a nuovi assetti ed equilibri.
2) La letteratura scientifica suggerisce che un buon sostegno sociale può moderare le singole vulnerabilità e aumentare il recupero. Le relazioni offrono incoraggiamento e rassicurazione, affetto e sostegno, creano amore e fiducia e aiutano la resistenza di una persona. Gli altri (una persona, un gruppo, una comunità) con cui condividiamo le esperienze o che sentiamo al nostro fianco, sono nutrimento dal punto di vista affettivo e psicologico.
3)Le crisi non sono insormontabili. È impossibile evitare alcuni eventi schiaccianti però si può cambiare il modo di interpretarli e di rispondervi, considerando più possibilità, dando più letture della situazione attuale. Dividendo l’inalterabile da ciò che può cambiare, mantenendo le cose in prospettiva, confidando nel recupero.
4) Accettare il cambiamento come parte della vita. Alcune cose non possono cambiare, è necessario concentrarsi su ciò che è possibile modificare, spostarsi sui propri obiettivi a piccoli passi nella direzione in cui si vuole andare.
5) Autoconsapevolezza. Si riferisce all’essere profondamente consapevoli di cosa sentiamo, riconoscere come alcune sensazioni influenzano il modo in cui pensiamo o ci comportiamo, saper affrontare emozioni scomode come la paura o l’ansia. Far fronte all’angoscia. Accettare il dolore come parte dell’intera gamma della nostra vita profonda, lasciarlo defluire invece di ignorarlo, reprimerlo o negarlo.
6) Non cercare di avere tutte le risposte. Di fronte ad eventi traumatici vogliamo subito trovare risposte che nella maggioranza dei casi affiorano naturalmente con il tempo. Dobbiamo accettare che va bene non capire tutto in un unico momento e che lo comprenderemo quando saremo pronti per farlo.
7) Prendersi cura di sé. Quando la vita chiede davvero troppo, è necessario attingere da un menu personale di abitudini di autocura. Tutti abbiamo una lista di cose che possono distrarci, ricaricarci, nutrirci. La chiave è individuare come funzionano nella propria strategia di resilienza.
8) Considerare le opportunità di scoperta di sé. Molte persone che hanno sperimentato tragedie e difficoltà hanno poi raggiunto relazioni migliori, aumento di autostima e del senso di forza, una spiritualità più profonda e maggiore apprezzamento per la vita. Spesso impariamo qualcosa su noi stessi, ci sentiamo cresciuti dopo la lotta con il dolore.