Quali sono i tuoi desideri? Che obiettivi ti sei posto per il futuro? Come pensi di raggiungerli? Gabriele Oettingen, Professoressa di Psicologia all’Università di New York e all’Università di Amburgo, parte da queste semplici domande per esplorare il modo in cui la psicologia motivazionale ha cercato di spiegare e orientare le azioni delle persone. Analizzando il funzionamento del pensiero positivo, la ricercatrice tedesca ne smonta le linee guida per costruire una tecnica alternativa che tenga insieme le pur importanti fantasie positive e le realtà che ne ostacolano la realizzazione. In più di vent’anni di studi ed esperimenti, Gabriele Oettingen è riuscita a dimostrare come la chiave per il successo e la soddisfazione personale passino per un diverso rapporto tra realismo e fantasia che non si basi soltanto sulle visualizzazioni positive del futuro.
Recenti ricerche psicologiche hanno appurato che immaginare ripetutamente di mangiare un cibo squisito ne riduce l’effettivo consumo (ecco qualcosa che potresti provare per smettere di mangiare cioccolata) Allo stesso modo gli studi della Oettingen suggeriscono che, lungi dal far accadere qualcosa nella realtà (come pensano in molti), l’atto di immaginare può impedirne la comparsa.
Nello specifico, ingannando la nostra mente con il pensiero di aver già avuto successo, perdiamo la motivazione per fare ciò che è necessario alla realizzazione di un desiderio. Ora possiamo capire perché così spesso i sogni ci rilassano e affondano le nostre prestazioni, indipendentemente da quanto possiamo sentirci dediti alla causa.
Il risultato del fantasticare è che la nostra mente ci dice che non dobbiamo fare esercizi o mangiare nel modo giusto per dimagrire. Non abbiamo bisogno di presentarci ad ogni colloquio per trovare lavoro. Se siamo a capo di un azienda e sogniamo di cambiare l’organizzazione, non dobbiamo preoccuparci di tutto il duro lavoro comunicativo, della ricerca di fondi, dell’addestramento dei manager per rendere effettivo il cambiamento. La nostra mente è già schizzata allo stadio finale di successo e soddisfazione. Noi ci rilassiamo e ne godiamo – anche se in realtà è ancora tutto da fare. Senza saperlo diventiamo singolarmente impreparati per l’unica cosa che ci potrebbe permettere di raggiungere l’obiettivo: agire.
Siamo rinchiusi nelle nostre fantasie?
Ciò che rende il fantasticare ancora più dannoso è che distorce il modo in cui cerchiamo informazioni sul mondo, e ce ne consegna una visione sbilanciata e irrealistica. Dal momento che le fantasie generano una condizione rilassata e gradevole in cui percepiamo di aver già soddisfatto i nostri desideri, sembra logico che ci piacerebbe rimanere il più a lungo possibile così e prestare maggiore attenzione ai segnali che prolungano la fantasia. Se fantasticando possiamo andare virtualmente a fare un safari in Africa, cercheremo articoli di giornale che ne dipingono lo splendore e non quelli che parlano di quanto sia rischioso, costoso o insoddisfacente. Con il tempo, finiremo per abitare nel “mondo delle favole” costruito da noi, strutturato da informazioni esterne, valide ma sbilenche. Le sfumature e la complessità del mondo reale andrebbero perse, e ne soffrirebbero anche le decisioni effettive che dobbiamo prendere.
Le fantasie positive, i desideri e le fantasticherie scollegati dalla valutazione delle esperienze passate non si traducono in una spinta ad agire verso una vita più motivata ed impegnata. Succedeva proprio il contrario. La Oettingen nel suo libro racconta di un ragazzo di nome Ben che fantasticava su una donna che gli piaceva ma non si è mai staccato dai libri per chiederle di uscire. Decise di indagare proprio su questo chiedendosi se le fantasie positive in realtà non impedissero di passare all’azione.
Gli studi della Oettingen
Oettingen reclutò 103 studenti universitari che avevano affermato di avere una cotta per una persona dell’altro sesso senza esserci mai usciti. Per prima cosa chiese loro di valutare, su una scala di 0 a 100 quanto fosse probabile l’inizio di un rapporto con questa persona (ossia, le aspettative sul futuro basate sulle passate esperienze). Poi gli propose di completare una serie di scenari ipotetici relativi agli appuntamenti. Eccone una: “ Sei a una festa. Mentre stai parlando con lui/lei vedi una ragazza/un ragazzo, che credi potrebbe piacergli/piacerle, entrare nella stanza. Mentre lui/lei si avvicina a voi due, tu immagini che…”. Per ognuno dei casi, chiese ai partecipanti di classificare da 1 (molto negativo) a 7 (molto positivo) le sensazioni generate dalla loro fantasia. Per alcuni di loro, questo canovaccio dava inizio ad una fantasia positiva: “Noi due lasciamo la festa davanti agli occhi di tutti, specialmente dell’altra ragazza. Usciamo, ci sediamo su una panchina. Siamo da soli, lui mette il suo braccio intorno a me e…”. Per altri, suscitava fantasie più negative. “Lui e lei iniziano a parlare di cose che non conosco. Insieme sembrano più a loro agio di quanto siamo io e lui/lei, e non si preoccupano minimamente di coinvolgermi nella conversazione”.
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Il risultato. Cinque mesi dopo fece un controllo, e domandò agli studenti se fossero riusciti a mettersi insieme alla persona per la quale avevano preso una cotta. Gli studenti che, basandosi sulla valutazione ragionevole di esperienze passate, si erano aspettati di iniziare una relazione, ci erano effettivamente riusciti. Ma quelli che, come Ben, si erano persi in fantasie positive, no. Iniziare un rapporto è una sfida classica che richiede motivazione e azioni coraggiose. Lo stesso vale per la ricerca di un lavoro. Visualizzare positivamente di superare un colloquio, o di sedere nel nuovo ufficio, o di distribuire dei nuovi biglietti da visita appariscenti e pacchiani, aumenterebbe le possibilità di trovare un impiego?
Nel 1988 Oettingen portò avanti un altro studio su 83 studenti maschilaureati in un università tedesca. La maggior parte aveva circa 25 anni. Chiese loro quanto ritenessero probabile di trovare un lavoro, e quanto contasse per loro avere un impiego. Chiese anche di sviluppare e scrivere qualsiasi fantasia positiva in merito e di classificare la frequenza con la quale queste immagini apparivano alla loro mente su una scala da 1 (molto raramente) a 10 (molto spesso). Prima di procedere con il controllo, fece passare due anni. I laureati che avevano avuto con più frequenza fantasie positive, ebbero anche meno successo. Dissero di aver inviato meno candidature e di aver ricevuto meno offerte di lavoro. In conclusione, affermarono di guadagnare meno soldi. Fantasticare sul proprio successo aveva fatto loro del male.
Nell’ultima parte del libro di Oettingen viene spiegata la tecnica del WOOP(Desiderio, Risultato, Ostacolo, Piano). Il WOOP è ciò che gli psicologi chiamano strumento “a contenuto neutro”, ovvero una tecnica che può aiutare per qualsiasi tipo di desiderio, indipendentemente dal fatto che sia a breve o a lungo termine, grande o piccolo.
Fonte: https://www.dionidream.com/io-non-penso-positivo/